La Lingua Napoletana

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Cenni storici

Napoli nei secoli è stata un crocevia di popoli e di culture che hanno influito enormemente sulla formazione della sua lingua.

Com’è noto Neapolis è stata fondata nel VI secolo a.C. dagli antichi greci, ed è greca la matrice che si ritrova ancora oggi in molti termini partenopei. Profonda è stata poi l’influenza del latino, nel 326 a.C. la città diventò una colonia dell’impero Romana.

La caduta dell’Impero romano d’Occidente diede inizio ad un costante mutazione dell’idioma parlato dai napoletani. Gli arabi, i normanni, i francesi, gli spagnoli e perfino gli americani, durante la seconda guerra mondiale, hanno influito sul napoletano contribuendo alla nascita di espressioni fuori dal comune.

Per secoli il napoletano ha fatto da ponte fra le culture orientali e quelle dell’Europa settentrionale; veniva parlato dalla popolazione, ed era usato nelle udienze regie, nelle scuole, negli uffici della diplomazia e dei funzionari pubblici.

Si hanno testimonianze scritte di napoletano già nel ‘960 con il famoso Placito di Capua, e poi all’inizio del Trecento, con una volgarizzazione della Storia della distruzione di Troia di Guido delle Colonne.

Con l’arrivo di Garibaldi e la fine del Regno delle Due Sicilie inizia il processo di omologazione alla lingua italiana; da quel momento il napoletano viene considerato un linguaggio volgare.

Parla bene, parla italiano, quante volte è capitato di richiamare chi preferisce esprimere un pensiero in dialetto e non in italiano?

Nonostante tutto il napoletano è riuscito a resistere; con i suoi mille suoni, tutti diversi e simpatici, continua ad essere utilizzato ed apprezzato in tutto il mondo.

La Lingua Napoletana

La Lingua Napoletana è l’insieme dei dialetti alto meridionali, quindi i dialetti parlati in Campania, in Basilicata, in gran parte dell’Abruzzo, nel Molise, nella Puglia escluso il Salento, nella Calabria settentrionale, nelle Marche meridionali e nel sud del Lazio.

L’UNESCO – e gli enti che ad esso fanno riferimento – adoperano napoletano come sinonimo di quello che nella tradizione della dialettologia italiana è definito dialetti meridionali/alto-meridionali.

L’area del Sud Italia dove si parlano dialetti della lingua napoletana è colorata in varie tonalità di rosa.

Col termine napoletano, va detto,non si vuole intendere che le altre varietà alto-meridionali derivino dal dialetto napoletano, ovvero il dialetto parlato nella città di Napoli. Tanto meno si vuole dare al napoletano un ruolo di superiorità nei confronti delle altre parlate.

Il napoletano, quindi, non “rivendica” nessun tipo di predominio sull’abruzzese, sul lucano, sull’ascolano e sul dialetto barese.

Semplicemente, questi dialetti hanno così tante caratteristiche comuni che possono essere considerate dialetti in un’unica lingua, il napoletano appunto.

Il nome di lingua napoletana è legato sia alla tradizione letteraria e musicale della città campana, sia ai lunghi secoli in cui la regione era governata dal regno di Napoli.

Il napoletano è presente all’interno dell’Atlante delle lingue in pericolo (Atlas of the World’s Languages in Danger), un catalogo in cui sono censite, nel momento in cui scrivo, 2.465 lingue che a vari livelli rischiano la scomparsa.

Nella scheda di ogni lingua censita nell’Atlas puoi trovare anche i codici ISO 639-3. Si tratta di un codice emanatodall’International Organization for Standardization,la più importante organizzazione mondiale per la definizione di norme tecniche. Viene usato per la classificazione delle lingue umane. L’ISO attribuisce un codice 639-3 ad ogni lingua.

Anche alla lingua napoletana.

Possiamo, quindi, dire che l’ISO riconosce che il napoletano è una lingua, così come è una lingua il siciliano.

Il codice ISO si può riferire ai dialetti?

No. Lo standard ISO 639-3 non viene applicato ai dialetti, intesi nel significato di varietà di una lingua. Il napoletano non è varietà della lingua italiana, ma idioma autonomo. Quindi è una lingua da un punto di vista strettamente tipologico-linguistico. L’ISO prende a riferimento questa definizione per capire se un idioma è una lingua autonoma meritevole di un codice o un dialetto di una lingua.

Il Napoletano è stato esportato in tutto il mondo grazie soprattutto allacanzone classifica partenopeae per questo motivo i suoi suoni sono riconosciuti in tutto il mondo, nonostante il suo eclissamento nel 1860 quando il popolo meridionale ha perso l’antica identità. Da quel momento la lingua napoletana si sta involgarendo. Sono tanti i termini che stanno assumendo sempre di più, soprattutto fra i giovani, i connotati di un significato volgaree poco riconducibile al significato autentico del vocabolo. Il mancato insegnamento di quella che oggi è riconosciuta a tutti gli effetti come una lingua sta sempre di più degradando quella che per il meridione ma anche per l’Unesco è un patrimonio non solo dell’Italia ma del mondo.

Nell’elenco dei “Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità” il napoletano non c’è. Nell’atlante delle lingue in pericolo, c’è invece il “South Italian”, Italiano del Sud, che comprende dialetti marchigiani, abruzzesi, molisani, campani, lucani, pugliesi e calabresi. E questo South Italian viene considerato sinonimo di “Neapolitan”.

Il raggruppamento dei dialetti alto-meridionali è definito secondo la classificazione internazionale delle lingue ISO 639-3 sotto il codice “nap”, che sta per “napoletano” o “napoletano-calabrese”. Questo gruppo linguistico è parlato, infatti, nell’area geografica che corrisponde all’ex Regno di Napoli, con l’esclusione della Sicilia, del Salento e di parte della Calabria (aree dei dialetti del gruppo meridionale-estremo).

In questa accezione, “napoletano” non indica il dialetto di Napoli ma l’intero gruppo linguistico, che è normalmente indicato anche come “italico-meridionale”: South Italian, appunto.

La diffusione dell’italiano a scapito del napoletano, nel processo di sviluppo del volgare in Italia a danno del latino, è da attribuire all’influenza di autori del trecento del calibro di Dante, Boccaccio e Petrarca, ma anche alla scaltrezza dei mercanti e dei banchieri toscani che a partire del XIII secolo contribuirono in maniera determinante alla propagazione del volgare fiorentino lungo tutta la penisola.

L’Unesco, dunque, riconosce la lingua napoletana e ne certifica la sua preoccupante fragilità, figlia di quella decadenza culturale che ha travolto la nostra epoca. Il progressivo abbandono del napoletano nella letteratura, nella poesia, nel teatro e la diffusione al contempo di surrogati deformi e avvilenti che trovano nuova linfa nel gergo giovanile da social, contribuiscono a cancellare una memoria storica che ormai sopravvive solo nei testi antichi e in parte nelle canzoni moderne.

CURIOSITÀ SUL NAPOLETANO

La parlata Napoletana è piena di termini ed espressioni colorite e simpatiche, che esprimono in una parola o in una breve frase un concetto scomodo o sarcastico.

‘O ‘ccafè a ‘dda scennere a coda ‘e zoccola –il caffè deve scendere come la coda di un topo. Per capire se il caffè è realizzato a regola d’arte è osservate la macchina del bar; nei primi secondi il caffè deve scendere a gocce, successivamente deve fuoriuscire formando una sorta di filo che ricorda la coda di un topo.

‘O pesce fete d’ ‘a capa – Il pesce puzza dalla testa. Quando qualcosa non va, la colpa è sempre di coloro che prendono le decisioni.

Co ‘a vocca chiusa nun traseno mosche – Con la bocca chiusa non entrano le mosche. A volte è meglio tacere che parlare a sproposito.

L’amico è comme’ ‘o ‘mbrello: quannno chiove nun o truove maje – L’amico è come l’ombrello, non è mai a portata di mano quando piove. Come l’ombrello quando c’è il temporale, un amico è tanto necessario, quanto difficile da trovare.

Puozze Sculà non è una delle più felici perché se qualcuno vi augura di scolare in sostanza vi sta augurando di morire.

L’Accademia della Crusca si è cimentata nella pubblicazione del primo vocabolario della lingua napoletana, un’opera-kolossal composta da quattro volumi e tremila pagine. In alcune scuole e università si è fatta strada l’idea di inserire lo studio del napoletano nel programma di studi.

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Teresa Bifulco
Dottorato in Economia Quantitativa ed Eurolinguaggi per la Sostenibilità del Benessere/Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”